venerdì 23 ottobre 2009

Incontri in Giappone

Credo sia importante anche parlare dei giapponesi che stiamo incontrando nel corso di questa nostra vacanza. Tutti infatti immaginano che i giapponesi siano timidi, anzi timidissimi. Beh, posso solo dirvi che spesso è vero. Come abbiamo già avuto occasione di dirvi, spesso le persone a cui ci rivolgiamo se va bene ci ignorano, se va male ci fanno gesti del tipo “vade retro Satana!”. La fortuna però sorride ai giovani, agli sprovveduti e agli italiani e ancora meglio, a noi.
Senza entrare nel dettaglio dei personaggi famosi, di cui vi parlerò tra poco, ritengo di potervi dare degli utili consigli: primo, l’approccio dev’essere molto soft, niente domande dirette ma sempre partire con “Sumimasen” (mi scusi) e poi aspettare per il resto finchè la persona non vi concede la sua attenzione. I giapponesi sono comunque molto gentili in generale e coi turisti in particolare, specie se vi vedono in difficoltà e pensano di capirne il motivo; secondo, se potete, le domande fatele in giapponese, aiuta tantissimo perché se non si sentono sicuri di potervi rispondere in inglese vi faranno segno di non potervi aiutare. In alternativa ci proveranno ma sarà impossibile capirvi e rimarrete intrappolati in un loop infinito in cui voi tentate di farvi capire e loro annuiscono e vi rispondono ripetendo le uniche parole che hanno capito, aggiungendo, strettamente in giapponese, la risposta che ritengono necessitiate; terzo, se siete uomini rivolgetevi agli uomini, se siete donne alle donne, sarà un’impressione ma sembrano meno a disagio.
Veniamo ora ai “personaggi famosi”, ossia quei giapponesi di cui possiamo documentare l’esistenza e con i quali abbiamo avuto almeno minimi rapporti umani.
In ordine strettamente cronologico abbiamo la compagna di Majin Mixi, incontrata nella Torre di Tokyo, che, parlando italiano, ci ha inoltre aiutato a capire alcuni costumi locali e ci ha dato alcune informazioni sulla vita nella città e i posti da visitare.


Secondo, Takuma, un amico di Michele, pressappoco della nostra età, che, poveraccio, dopo l’Università (che qui ha orari piuttosto lunghi, dalle 6 alle 8 ore al giorno, come da noi quando va male) è venuto a incontrarci e ci ha portato in giro per Shinjuku, quartiere vivacissimo pieno di giovani, negozi curiosi e night club (davvero davvero tanti). Takuma parla giapponese, inglese, francese e sta iniziando con l’italiano. Con noi è stato molto simpatico e disponibile e forse lo reincontreremo verso la fine della vacanza. Anche lui ci ha dato un sacco di spunti e informazioni e inoltre ci ha portato al ristorante del sushi su rotaia con il miglior rapporto qualità/prezzo finora incontrato.


Terza, Masako, la nostra Tokyo Free Guide. Parla italiano e lavora in una ditta che fa import/export. L’incontro con Masako è stato un po’ difficile perché abbiamo faticato a trovarci. Avevamo pianificato l’incontro tramite Internet, segnando il luogo (l’entrata di un palazzo) su Google Maps. Peccato che il grattacielo fosse uno dei più grandi di Tokyo, di entrate ne avesse a tonnellate e che le cose viste dall’alto siano difficilmente riconoscibili quando viste dal basso.
Alla fine comunque ce l’abbiamo fatta, un po’ per caso e un po’ per fortuna. Visto che parlava italiano, è stato molto più facile per tutto il gruppo parlare con lei e quindi abbiamo potuto farle un sacco di domande utili (tipo: ma perché mettete sempre il ghiaccio in tutta la roba da bere?!?) e meno utili (“dove possiamo mangiare qualcosa di buono a poco prezzo?).
La stessa sera ci ha raggiunto Chiya, un’amica di Masako. Anche lei parlava italiano (per quanto invece volesse parlare inglese) ed è stata riconosciuta all’unanimità come “la persona più vicina a ciò che ci aspettavamo di un giapponese”, con tutti i suoi versi e le sue esclamazioni. Grazie a entrambe siamo entrati in possesso di una notevole quantità di dolciumi e, oltre ad averci portato in un locale nel quale altrimenti mai avremmo messo piede, mangiando deliziose okonomiyaki, ci hanno anche consigliato altri locali, tra cui XXXX, da noi rinominato “buono buonissimo”, del quale parleremo in un futuro e già pianificato resoconto riguardante il cibo e che ci ha dato grandi soddisfazioni in termini culinari e monetari.

Quarti (sono in 3) ci sono tre tizi a caso, MAI VISTI, beccati per caso a Shibuya. Gli abbiamo chiesto di farci una foto, uno di loro ha capito male e si è messo in mezzo, abbiamo colto la palla al balzo e chiamato anche l’altro, mentre il terzo (peccato) ci faceva la foto. Eccezionali, le cose belle della vita.

Quinto un personaggio davvero spassoso, tal XXX, incontrato in un locale mentre tentavamo di ordinare del ramen (c’eravamo solo noi, due cuochi e lui). L’ha messo in mezzo la cuoca, dicendo “He English”. Bisogna dire che in effetti lo parlava e abbastanza bene. Era lì a bersi una birra (in un locale di ramen?) e forse non era la prima. Comunque ci ha aiutato e consigliato e siamo riusciti a mangiare, anche se il ramen “little hot” in realtà era una tempesta di fuoco. Durante il ramen, ha ben pensato di offrirci del “bamboo saké”, specificando che era “more or less like vodka” e che saremmo dovuti stare attenti a berlo. Posso dirvi che era davvero buono, anche se un pelo forte. Finito il ramen, mentre continuavamo a chiaccherare (e lui a bere birre), ha pensato di offrirci anche del riso fritto. Anche lì, molto buono. Sul perché ce l’abbia offerto, mistero. Però era davvero simpatico e ci ha raccontato un sacco di cose interessanti (altre meno). Alla fine eravamo stremati (la mattina eravamo stati a Tsukiji, il mercato del pesce, e ci eravamo svegliati alle 4) e non riuscivamo più ad andare via. Così, anche per chiudere il discorso, ci siamo fatti fare una bella foto. Prima di salutarci ci ha lasciato 4 biglietti da visita (uno a testa) specificando che, se avessimo avuto problemi di comunicazione finchè in giappone, avremmo potuto chiamarlo o mandargli un’e-mail. Davvero gentilissimo!


Ultime, 2 signore, una ragazza e quella che supponiamo fosse la madre, incontrate mentre percorrevamo “il sentiero del Buddha”, una roba su per i colli di Kamakura da fare rigorosamente a passo CAI. Sarà che in montagna si è tutti un po’ fratelli, sarà la fatica che ti fa sentire in comunione, ma quando siamo arrivati ad un panorama ci hanno chiesto, prima ancora che potessimo farlo noi, se volevamo che ci facessero la foto. E poi, arrivati al Daibutsu, non solo ce l’hanno rifatta, ma l’hanno persino fatta con noi! E se ne sono fatta fare una uguale (con tutti noi) con la loro macchina fotografica.


Insomma, i giapponesi sono tendenzialmente schivi ma, come sempre, trovi sempre la persona buona, gentile e disponibile. Come quell’altra, di cui non abbiamo una foto, che vedendoci in difficoltà di fronte ad una mappa della metro, ci ha chiesto, in perfetto inglese, “Where are you going?” e poi ci ha aiutato a trovare la nostra stazione. O il bambino di Kamakura che, mentre scalavamo i colli, ci ha inseguito di corsa per avvertirci che 2 minuti prima ci aveva dato l'indicazione sbagliata e che la strada da seguire era un'altra.
Anche queste cose rendono bella una vacanza.

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